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Bar Belfiore: Superman (not) returns

Metti che una mattina ti svegli e ti senti Superman: stai bene, il mondo è bello e hai tanta voglia di vivere. Fai allegramente colazione, ti vesti cantando a squarciagola (per la gioia di tua madre e dei vicini addormentati), e a passo di danza arrivi col vento fra i capelli fino alla fermata dell’autobus, che, visto che tutto il mondo ti sorride, miracolosamente arriva in orario.

Improvvisamente, la catastrofe: il bus è di criptonite, i passeggeri sono di criptonite, il marciapiede è di criptonite, i batteri non sono di criptonite ma ci abitano felicemente dentro. La terra ti manca da sotto i piedi (e non è che stai volando!): un fischio assordante ti stordisce, vertigini improvvise si accaniscono contro il tuo equilibrio e ti avvertono che la tua colazione non sta gradendo il viaggio. Affatto.

Sai di dover scendere, urgentemente. Ovviamente, l’ingorgo. La fermata non sembra arrivare mai, e non hai il coraggio di aprire la bocca per chiedere all’autista di aprirti.
Riesci alla fine a scendere prima del disastro, e manca poco abbracci il primo cestino che ti trovi davanti.

Barcollando “cerchi riparo, fraterno conforto, tendi le braccia allo specchio, ti muovi a stento e con sguardo…” disperato.
Ti senti uno zombie ed effettivamente una vetrina te lo conferma: andamento stile Alba dei morti viventi, faccia grigio asfalto, occhiaie nere… come lui —————–>
I passanti o fuggono terrorizzati o si preparano ad afferrarti al volo in caso di caduta.

Ma ecco la salvezza: un bar.
“Scusi, c’è un bagno?”
<voce stridula> “Come?”
“Scusi, c’è un bagno?”
<stizzita> “Però consuma qui.”
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